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La cultura Orientale in Calabria: sistemi agrari e idrici di Palmi

2022-11-25 18:44

Dr. Domenico Bagalà

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La cultura orientale nei sistemi agrari e idrici di PalmiDal medioevo alla prima età moderna di Concublet – (parte I)   Lorem Ipsum è un testo segnapo

 

 

 

La cultura orientale nei sistemi agrari e idrici di Palmi

Dal medioevo alla prima età moderna di Concublet – (parte I)

 

 

Le conoscenze agrarie, le cultivar di moltissimi alberi da frutto e specie vegetali che anno creato una biodiversità straordinaria e le opere architettoniche per la distribuzione dell’acqua, sono una eredità della cultura araba, trasmessa a noi dai monaci bizantini. Già le emigrazioni dei secoli V, VI fino all'VIII a causa delle lotte iconoclaste, portarono in Sicilia e Calabria un gran numero di monaci, i quali furono costretti a rifugiarsi nei territori Cristiani dell'Impero di Bisanzio.

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Poi con l'avanzata dei mussulmani verso l'occidente e la conquista della Sicilia nel X sec. si ebbe un vero e proprio "esodo" verso la Calabria (già molto conosciuta per i fasti della "Magna Grecia"), ed in particolare lungo la Costa Viola e nella Valle delle Saline (oggi Piana di Gioia Tauro), attratti dalla fama di due grandi Santi: San Fantino a Tauriana e S. Elia Juniore sul Monte di Palmi, dove vi erano i loro venerandi monasteri. In tutta la Valle nacquero laure, cenobi e monasteri rupestri, come nell’importantissimo sito di “Pignarelle” e in altre piccole grotte nella località “Affaccio”, nelle località: “Rocca Campana”; “Cubola”; “Grutti” e Fosso Cropo nei pressi di San Mercurio; S. Leonardo "dell'Arenario", San Michele di Vitica e di Trachina, tutte nel Territorio di Palmi; S. Sebastiano a Bagnara, S. Elia Speleota a Melicuccà e Caforchie a Seminara).

Questi siti uniti a molti altri, formavano l’Eparchia delle Saline (Vallis Salinarum) oggi Piana di Gioia Tauro. Si stima che in Calabria vi siano stati ca. 5000 luoghi di culto e che solo nella Valle delle Saline ve ne siano stati più di 1000. Del resto Gerhard Rohlfs (filologo) nei suoi studi sulla antroponimia e toponomastica, nelle lingue della Calabria, ha definito l'area di Palmi, Seminara e più in generale della Piana di Gioia T. (Valle delle Saline), come i luoghi che hanno la più alta concentrazione in Europa di toponimi riconducibili a nomi di santi di monaci e monasteri..

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Tornando alla cultura araba portata dai monaci orientali, possiamo affermare che gli arabi non portarono solo morte e devastazioni, ma anche civiltà, cultura e progresso. I monaci ci trasmisero le loro conoscenze acquisite a Baghdad, al Cairo, a Damasco, a Gerusalemme e da tutto il Medio Oriente, nelle scienze, matematica, astronomia, medicina, ingegneria ed anche dal punto di vista agrario (si veda la Sicilia e la Spagna) i quali fecero di territori amministrati un “giardino”. .

Frutti arabi nei giardini di Palmi a  conferma dell’origine araba di molti tra i più diffusi frutti dell’Europa mediterranea, citiamo: gli agrumeti, arance "rangi" (in persiano narang); i limoni, "limúni" (arabo e persiano limun), mandarino, dalla parola sanscrita “mantrin” (consigliere). Tradotto alla lettera “mantrin” significa conoscitore delle formule sacre, ovvero mantrah, il testo sacro; albicocco, "pricopi" Albicocca: deriva dall’arabo “al-birquq” l’arabo ha preso il termine dall’aramaico “barquqa“, che deriva a sua volta dal greco “praikòkion“, diventato in latino “praecocia“… “precoce”. L’aggettivo, legato al fatto che questo frutto matura prima degli altri, è diventato anche il nome dialettale "pricopi"; Ciliegia, “cerasi“, dal latino “cerasum“, che deriva a sua volta dal greco “kérasos“; Mandorla, "mmendula", all’origine c’è la parola greca “amygdale“, da cui latino “amandula“, diventato “mandola” poi “mandrola” e infine mandorla; Pesca, in origine si chiamava Persica, che vuol dire proveniente dalla Persia, “persiana” (la voce si è mantenuta nel nome del Golfo Persico), da lì l’odierna denominazione dialettale del frutto; Prugna-Susina prende il nome dall’antica città persiana Susa (Shush), antica capitale del regno di Dario I, la "prunus" domestica pare sia proveniente dalla Siria, da Damasco deriva la varietà che ancora oggi si chiama damascena o damassina, erano conosciute già ai tempi degli Etruschi e Petronio le cita fra le golosità del banchetto di Trimalcione; nespolo, ha origini antichissime che risalgono al primo millennio avanti Cristo.

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Recenti studi situano le sue origini sulle rive del Mar Caspio e da qui si è diffusa in Asia Minore e in Grecia. I Romani la tenevano in gran conto e contribuirono largamente alla sua diffusione. I greci antichi avevano consacrato la pianta del nespolo comune al Dio Cronos, mentre per i Romani era simbolo del Dio Saturno perché veniva considerata una difesa contro le pericolose influenze degli stregoni. Nel Medioevo i monaci bizantini consideravano la pianta del nespolo medicamentosa impiegata come astringente, regolatore delle funzioni intestinali e forte diuretico; l’albero di fico merita uno spazio particolare: le origini dell’albero di fico da molti studiosi sono state individuate nel Medio Oriente in una antica regione chiamata Caria dove oggi si trova la Turchia. Infatti il fico comune che appartiene alla famiglia delle Moracee ha come nome scientifico Ficus Carica indicando con quest’ultimo nome la sua provenienza.

 

 Anticamente l’albero di fico era un albero sacro e sia la pianta che il suo frutto erano simboli di abbondanza. Viene citato in questa veste anche nel Vecchio Testamento e alcuni studiosi sospettano che nel giardino dell’Eden i nostri progenitori non avessero assaggiato come frutto proibito una mela, ma il frutto dell’albero di fico. Questa ipotesi è avvalorata dalle parole della Genesi. Infatti appena gustato il frutto proibito ad Adamo ed Eva: “…si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi, allora intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture”.

Gli antichi Egizi lo veneravano quale albero dell’immortalità e conoscevano le tecniche per conservarlo e per essiccarlo. Nei giardini dell’antica Babilonia l’albero di fico era coltivato con cura e i suoi frutti erano considerati una rara delizia. Recentemente una straordinaria scoperta di alcuni ricercatori dell’università di Harvard pone in primo piano l’albero di fico come la prima pianta coltivata dall’uomo prima ancora del grano e dell’orzo.

 In un reperto datato ben 11.400 anni fa, scoperto in un sito archeologico nel territorio dell’odierna Israele e situato a pochi chilometri dalla cittadina di Gerico nella bassa valle del fiume Giordano, sono stati trovati 9 piccoli fichi e 331 piccole parti di questo frutto che secondo gli studiosi erano state preparate per essere mangiate in seguito. Questa scoperta dimostra come l’albero di fico era coltivato circa 5000 anni prima di quanto si pensasse, prima dei due alimenti principali e ritenuti i primi coltivati dall’uomo vale a dire l’orzo e il grano. Nella Grecia antica l’albero di fico era considerato pianta sacra in quanto albero primordiale consacrato al dio Dioniso che lo aveva creato.

Il filosofo Platone era particolarmente ghiotto di questi dolci frutti al punto da venir chiamato “mangiatore di fichi”. Non solo ne era assai ghiotto ma li raccomandava anche ai suoi studenti come mezzo per rinvigorire l’intelligenza. I greci antichi utilizzavano il lattice dell’albero di fico per far cagliare il latte e produrre così il formaggio.

Anche per gli antichi Romani l’albero di fico era pianta sacra insieme alle altre specie di alberi da frutto l’ulivo e la vite. Veniva considerato pianta della fortuna e protettrice della casa. Secondo Plinio mangiare fichi aumentava la forza nei giovani, migliorava la salute dei vecchi e ne riduceva le rughe. Ovidio, celebre poeta romano, racconta che come augurio per un buon anno nuovo era usanza offrire ad amici e parenti fichi e miele in occasione del Capodanno.

Un albero di fico di buon auspicio era collocato nel Foro Romano centro della vita pubblica della antica Roma. Lo scrittore storico Tacito scrive che i sacerdoti ne avevano molta cura e se si seccava sostituivano subito la pianta morta con una giovane e vigorosa per evitare le peggiori sciagure pubbliche. Codex Emilianense -Biblioteca reale di San Lorenzo dell’Escorial- 994 - Adamo, Eva e l’Albero “ Lignum Fici” ovvero “Fusto di Fico Anche i Fenici e gli Etruschi conoscevano l’albero di fico e i suoi energetici frutti e ne apprezzavano le proprietà.

 
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Ma tantissimi sono le specie introdotte dai popoli orientali venuti in contatto con la nostra civiltà: il grano duro proveniente dalla “mezzaluna fertile” (penisola arabica), ed anche il riso, il pistacchio, il gelso per il baco da seta, la palma dattifera, il melone, il banano, la canna da zucchero (zùccaru; arabo: sukkar; la coltivazione della canna da zucchero fu introdotta in Italia dapprima in Sicilia intorno alla metà del XII secolo e poi passò in Calabria), cotone (cuttùni; arabo: qutun)..

Anche il settore vitivinicolo aveva una veneranda tradizione a Palmi e prima ancora a Taureana, ne sono testimonianza, la quantità di cantine e palmenti disseminate nelle campagne di Palmi. Del resto non sarà un caso che la citazione più antica d’Italia riguardi un vino, e questo vino si produceva nel nostro territorio: il “palmaziano” (sec. VI d.C.) citazione contenuta nelle epistole di Cassiodoro: (…) a proposito della affollata contrada de Palmis che produceva tra l’altro, un eccellente vino lodato dagli antichi, nel VI secolo il grande Cassiodoro Flavio Magno Aurelio (470-562) di Squillace in una sua epistola diretta ad Atanasio Cancellario della Lucania e della Brezia, dopo aver parlato dei squisiti formaggi dei lucani, così passa a parlare dei pregi del vino di Palma: “anche quel vino che desiderarono lodare, che gli antichi chiamarono Palmaziano, e dissero di trovarlo non aspro al palato, ma gradevole per dolcezza.

Poiché, benché sembri l’ultimo tra i vini del bruzio, nel fatto tuttavia è quasi il primo per opinione generale. Infatti si trova uguale a quello di Gaza, simile al Sabino, singolare per il grande odore. E appunto per ciò si acquistò fama grandissima …” (memorie storiche della Città di Palmi – Roma giugno 1930 - Giuseppe Silvestri Silva. Avendo Cassiodoro paragonato questo vino a “quello di Gaza e al Sabino entrambi bianchi dolci, il “palmaziano” era probabilmente un vino bianco prodotto dall’antico vitigno “Zibibbo”, detto anche moscato di Alessandria (d’Egitto).

 Il suo nome risiede nella parola araba Zabīb, ossia “uvetta” o “uva passita”, lo Zibibbo ha origini egiziane ed è stato trapiantato per la prima volta a Pantelleria dai Fenici e, nel resto della Sicilia e in Calabria nei terrazzamenti del Tracciolino sulla Costa Viola. L’albero di ulivo conclude questa elencazione perché è certamente il più importante: le origini sono ancora sconosciute. Si dice che sia apparso in periodi preistorici prima della comparsa dell’uomo e che sia originato in Asia Minore dove tuttora vi sono abbondanti foreste di ulivi. Sembra che si sia diffuso dalla Siria in Grecia, via Anatolia e nel bacino del Mediterraneo.

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La Grecia risulta essere la terra, secondo i miti, dove per prima apparve l’ulivo e venne coltivato. Difatti, la leggenda attribuisce ad Atena il merito di aver donato questa pianta agli abitanti dell’Attica i quali, a loro volta, gratificarono la dea assumendo l’ulivo come sacro simbolo della stessa divinità e della città ad essa dedicata. Fu introdotto nel nostro territorio partire dal VIII sec. a.C. con la colonizzazione greca della Calabria (Magna Grecia, chiamata dai greci stessi terra degli italioti, cioè dei popoli Italici di cui oggi conosciamo il toponimo “Tauriani”, ma il nome Calabria verrà nel medioevo con gli altri greci che vennero a liberarci dai barbari, i bizantini). La straordinaria produzione e diffusione dell’olio a Palmi e nell’intera regione ci è data dal ritrovamento di vasi e monete che testimoniano la presenza dell’albero di ulivo all’epoca. Quanto finora elencato non è assolutamente esaustivo dell'argomento trattato.

Nel prossimo numero la parte II “La cultura orientale nei sistemi idrici di Palmi, dal tardo medioevo alla prima età moderna di Concublet”.

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